ovvero recensione sul libro "La fine del mondo storto", di Mauro Corona
Premessa:
ero prevenuto sulla scrittura di Mauro Corona, lo ammetto, perché i suoi libri mi hanno sempre messo un'irrazionale tristezza, di cui non saprei spiegare bene il motivo..., ma questa volta il tema del romanzo mi interessava proprio, quindi ho iniziato a leggere volentieri.
Ero anche prevenuto per le tesi che l'autore perora nelle troppe interviste, alla radio, alla televisione e sul web: la sua posizione mi è sempre sembrata "reazionaria" (vogliamo dire "di destra"? vogliamo dire "leghista"?) tutta sta storia della superiorità dell'usare le mani, abilità che hanno solo i montanari e contadini, mi è sembrata un po' un atteggiamento conservatore-reazionario... "i vecchi quassù sapevano cosa fare... non come voi cittadini pappemolle"... c'avrà pure un po' ragione:), ma non mi piace il suo disprezzo per la letteratura, la scienza (io sono un ingegnere e lui spesso accomuna ingegneri, architetti, geometri in un unico calderone...) ed il disprezzo per la letteratura e l'arte in genere... cioè trovo che il suo opporre la "cultura rurale" a quella della della società cittadina sia una lotta intestina sempre "culturale", e per farla breve trattasi sempre di "lotta di classe"... ed io penso che la lotta di classe, questa si porta alla guerra e non permetta una conoscenza superiore, non permetta all'uomo di andare oltre l'uomo... ma lasciamo perdere queste forse inutili digressioni e torniamo al libro.
Il tema:
L'autore suppone che un inverno improvvisamente tutte le scorte di petrolio, e quindi di energia, si esauriscano in un tempo molto breve e l'umanità incominci a morire di freddo, falcidiata da quella che lui chiama "la morte bianca e nera"; allora che fanno gli esseri umani sopravvissuti al primo sterminio? In primavera incominciano ad organizzarsi per la sopravvivenza, riprendendo a coltivare la terra e costruire una società rurale che io definisco "comunismo della sopravvivenza": si instaura cioè un comunismo "de facto" (non c'è nessun riferimento ideologico al Marxismo...), semplicemente ogni essere umano collabora con gli altri per svolgere attività di prima necessità di sopravvivenza: non ci sono "capi" né padroni e tutte le persone collaborano diventando un "corpo unico" (per usare le parole dell'autore): l'umanità vive così in un periodo di vera pace, ma poi con l'estate ed il caldo si incomincia a stare meglio, ad avere la "pancia piena" ecco che riappaiono le corporazioni, i gruppi, i capi, e quindi la violenza per accaparrarsi i beni di altri gruppi ... insomma si sottintende un po' che la proprietà (privata) porti ineguaglianza ed anche la minima ineguaglianza porti le persone all'invidia, la competizione, lo scontro, la guerra e la distruzione ... fino a che il mondo rinato alla "pace comunista" torna infine come quello iniziale, il "mondo storto" in un ciclo di autodistruzione ed imbecillità.
Cosa non mi è piaciuto.
Lo stile narrativo intanto: l'autore qui è davvero troppo ripetitivo nell'esprimere gli stessi concetti in modo banale, mai approfondito: è come se avesse preso e ripreso i capitoli più volte dopo aver dimenticato che una frase l'aveva già scritta, trapela cioè una nevrosi nella scrittura, come se Mauro Corona avesse dovuto far uscire il libro a tutti i costi, velocemente, senza rileggere: Sacramento! non ha limato! (lui che è uno scultore...!?).
Non mi è piaciuta la "impersonalità" del racconto: non c'è mai una frase diretta, quasi mai un pensiero di una singola persona: il racconto è narrato in modo impersonale, generalizzando i comportamenti al plurale: "gli abitanti facevano...", "si decise di ..."; mai una analisi psicologica (né individuale, né seriamente sul collettivo), mai in sentimento, mai una emozione... tutto molto freddo e distaccato.
Ma sopratutto la cosa che mi ha infastidito maggiormente è la continua "oscillazione" ideologica-morale tra due opposti contrapposti, che cerco di spiegare: ogni tanto l'autore sostiene che all'origine della guerra c'è la "pancia vuota" ovvero la pretesa di chi non ha, di avere i beni di chi ha ... ma poi due paragrafi dopo, viene sostenuto l'esatto contrario e cioè che tutto il male ovvero la ricerca del potere... nasce da chi ha la "pancia piena" perché è l'avere la pancia piena (ovvero aver soddisfatto le esigenze biologiche primarie) che porta l'essere umano ad occuparsi del surplus (direbbe Karl Marx appunto ... ) ovvero delle attività intellettuali (l'autore ce l'ha a morte con i critici letterari, i giornalisti... chi scrive come mestiere... ma come proprio lui ???!!! ... ) e quelle artistiche (che vengono considerate peggio che quelle letterarie... ma lui mica è scultore ???!!! ... ); insomma l'autore sostiene che quando l'essere umano ha soddisfatto le esigenze primarie, c'è spazio per l'intelletto, l'arte... tutte robe inutili e che portano le persone a "rompersi i coglioni" le une con le altre: le persone incominciano a volere cose materiali inutili (la proprietà) od immateriali (riassumendo: il potere) fino ad ammazzare per questo, a far guerre per questo. Ma queste due tesi del "pancia piena" / "pancia vuota" si alternano sempre solo accennate in modo superficiale, senza essere approfondite.
Cosa invece mi è quasi piaciuto.
C'è una probabile autentica disperazione dell'autore nella constatazione che "L'uomo sarà l'unico essere vivente ad autoestinguersi per imbecillità.", sicuramente una auto-ironia ed un sarcasmo sulla società pseudo-rurale del suo paese, Erto, in cui la gente rompe i coglioni con il tosaerba tutte le sante domeniche e poi va due volte a settimana in palestra per fare i muscoli... ok, sono d'accordo.
Seriamente parlando, il nichilismo di Corona mi ha fatto venire in mente la conclusione che Werner Herzog trae nel suo film Wild Blue Yonder: "l'uomo è un virus" che ha contaminato e quasi distrutto il pianeta Terra, pianeta che riprenderà a a prosperare solo quando l'essere umano sarà emigrato in pianeti alieni... ma a differenza del regista tedesco, che ha un pensiero magnificamente super-umano, il Mauro Corona ha sempre un pensiero paradossalmente "antropocentrico": intendo dire che nel racconto non c'è un "amore" per la Natura, nessun sentimento per le forme di vita animale o vegetale (anzi nessun sentimento proprio!): c'è sempre l'uomo e la sua strumentalizzazione della Natura ai soli fini della sopravvivenza dell'uomo: il problema dell'uomo è solo e sempre "riempirsi la pancia" e null'altro sembra importante...
Conclusione:
ma se l'arte e la scienza sono solo "surplus distruttivo"... all'uomo non rimane che la dimensione fisiologica del corpo mangiante? e che diamine, ci sarà qualcosa di più "bello" nella vita di un uomo? forse la capacità dell'umanità di vedere oltre l'umanità? ma sacramento?! (come direbbe l'autore) di questo non si parla nel libro...
Forse ho capito il motivo della tristezza che mi mettono i libri di Mauro Corona: c'è la mancanza di suggerimento di "bellezza" di cui io ho bisogno, e però invece ... sono sicuro che anche l'autore cerchi la bellezza proprio come me meschino, altrimenti lui non andrebbe a scalare montagne (la bellezza dis-umana), e non farebbe sculture (la bellezza dell'arte) e sopratutto non scriverebbe libri (la bellezza della scrittura dei simboli) ...
o no?
Giorgio, 24 Aprile 2011